I medici docenti pagati 1,78 euro l'ora per operare

Scritto il 06/12/2025
da agi

AGI - "L'altro giorno ho fatto un intervento chirurgico complesso per rimuovere un tumore cerebrale, durato otto ore, per il quale ho anche ricevuto una lettera di ringraziamento della famiglia pubblicata sul sito del mio ospedale. Lo sa quanto è la retribuzione per 8 ore di lavoro come neurochirurgo che esegue procedure complesse come questa? Siccome in totale al mese il mio ospedale mi corrisponde circa 200 euro di base, per il lavoro di reparto, di sala operatoria, i turni, e le responsabilità che ne derivano, per 8 ore la retribuzione è di circa 14 euro per 8 ore".

Il racconto all'AGI di un neurochirurgo della Sapienza di Roma e Dirigente Medico presso il Sant'Andrea, solo uno dei tanti esempi, apre uno spaccato che rasenta l'assurdo sulla situazione dei medici del Servizio sanitario nazionale che fanno anche i docenti universitari, cardine del sistema pubblico e fiore all'occhiello dei più importanti ospedali italiani. In 85 camici bianchi del Sant'Andrea (ma non succede solo nell'ospedale romano, e non solo nel Lazio) hanno sottoscritto un appello alla politica e alle istituzioni "per rinnovare gli accordi, valorizzare il lavoro clinico e accademico, garantire stipendi dignitosi". E per tamponare la fuga, inevitabile, verso il privato o all'estero alla ricerca di un trattamento adeguato.

L'accordo tra Regione e università

"L'accordo tra Regione Lazio e Università La Sapienza di Roma - denunciano i medici docenti - attraverso il protocollo di intesa prevede che lo stipendio sia diviso tra Ateneo e Azienda. Il risultato? Un ricercatore o un professore associato in area medica riceve dall'Università mediamente tra 1.300 e 2.300 euro netti al mese, a seconda del proprio ruolo, esattamente come un pari collega di un'altra facoltà (es. giurisprudenza, economia, fisica, ecc.). L'"integrazione ospedaliera" per 28 ore settimanali di attività clinica assistenziale obbligatoria è di circa 200 euro netti su base mensile. Significa essere retribuiti 1,78 euro l'ora per fare anche il medico, con responsabilità cliniche che non hanno paragoni con nessun altro settore accademico".

L'abolizione della legge De Maria e le conseguenze

Tutto nasce nel 2017, quando è stata abolita la legge De Maria che regolava le retribuzioni dei docenti universitari medici. Gli accordi che ne sono seguiti tra Regioni e Università, basati sulla norma 517 del 99 e la sua mancata applicazione in modo omogeneo sul territorio nazionale, con realtà diverse da regione a regione ed una disuguaglianza del trattamento economico a macchia di leopardo, hanno iniziato a creare situazioni paradossali come quella del Sant'Andrea, ma è successo anche a Cagliari, Ferrara, Genova, Torino, Napoli. A rimetterci sono stati in genere i giovani universitari e questo ha contribuito a creare un ulteriore ostacolo al reclutamento nel mondo accademico di giovani capaci.

Retribuzioni a confronto e disparità

"In sostanza i professori universitari, per esempio di Lettere, prendono poco meno di un chirurgo, un anestesista, o qualunque altra figura specialistica, come se tutta la parte medica esercitata in ospedale e in sala operatoria, che noi dobbiamo garantire sia negli infrasettimanali che di notte e nei festivi, sia sostanzialmente non retribuita. Paradossalmente, si guadagna quasi più dai buoni pasto che dallo stipendio ospedaliero", riferiscono i promotori. In Italia, e anche a Roma, la situazione è a macchia di leopardo, con ospedali che garantiscono agli universitari grossomodo le stesse retribuzioni degli ospedalieri, e altri che si sono già adeguati al nuovo regime.

La fuga dei cervelli e il futuro della sanità pubblica

"Perché mai un giovane medico dovrebbe scegliere la carriera universitaria? - si chiedono amaramente i camici bianchi autori dell'appello - Perché svolgere due lavori, con responsabilità doppie, per avere un indennizzo che non è minimamente proporzionato alla mansione svolta? Principio quest'ultimo che ricordiamo dovrebbe essere garantito dall'articolo 36 della Costituzione. La politica tace. L'azienda ospedaliera si rifugia dietro l'accordo Regione-Università, che è scaduto dal 2018 e che dovrebbe essere rinnovato, ma attualmente non è sul banco delle priorità. L'ateneo fa altrettanto. Intanto, molti docenti stanno lasciando il pubblico per le università private o estere o abbandonano del tutto la carriera accademica per la libera professione. È una perdita enorme per i cittadini: se ne vanno professionisti con curriculum eccellenti, formati con risorse pubbliche. E allora la domanda finale è inevitabile: crediamo davvero di essere un Paese che investe sul merito? Che premia il talento? Che punta all'eccellenza? Si parla molto del rientro dei cervelli dall'estero, incentivandoli con sgravi fiscali, ma è come cercare di riempire un secchio con un bicchiere d'acqua quando non si è chiuso il tappo sul fondo". D'altra parte, fanno notare i promotori dell'appello, "chi leggesse che un docente universitario medico, impegnato nella didattica, nella ricerca, nei bandi internazionali e contemporaneamente attivo come dirigente ospedaliero con turni notturni, festivi, attività chirurgica, ambulatoriale e di reparto, percepisse meno di 2.500 euro netti al mese, penserebbe a una provocazione". E invece è la realtà.